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Altri tre giorni di portinariato occasionale itinerante.
Fuori dal centro storico però le portinerie sono meno contemplative.
I sacchi della monnezza pesano da morire, i piani sono tanti e una scala non bastava ce ne vogliono due e vanno lavate, e così pure gli ascensori. Insomma finita la pacchia. Mi tocca lavorare.
Però il viaggio è uno spettacolo. A parte la mattina, che prendere il metrò alle 7 e mezza non è proprio il massimo, al ritorno invece, dopo le 13, è come essere a teatro.
Quindi mi accomodo e resto a guardare.
Lo spettacolo varia ogni giorno e così gli attori, anche se devo constatare che spesso i ruoli interpretati sono gli stessi. Così come la colonna sonora: è possibile che tutti i suonatori di fisarmonica e violino suonino sempre lo stesso identico pezzo?
Ma oggi no. Oggi la colonna sonora era affidata a un bonghista jamaicano accompagnato dalla voce, bassa, incomprensibile e stupenda di un ragazzo nero, forse del Senegal. Un duetto fantastico e perfettamente in sintonia col ritmo del metrò. Tranquillo e per niente invadente.
Li ascolto beata mentre osservo la bella varietà di personaggi. C'è un allegra famigliola cingalese, studentesse cinesi arredate in modo improbabile, filippini, nord africani e sud americani. Ognuno col suo modo d'essere, ognuno con la sua fatica.
E poi due signore bene. Molto eleganti nel loro lussuoso stile sportivo. Due signore molto a disagio. Una si siede rigida e scuote la testa. L'altra resta in piedi ma non si regge agli appositi sostegni. Resta in equilibrio. Il viso tirato e sofferente. Ogni volta che qualcuno la urta lei dice che non è niente e cerca di comporre un sorriso, con evidente sforzo, quasi con dolore. Resta in equilibrio e capisco che non vuole toccare nulla, non vuole contaminarsi.
Finalmente la fermata, Montenapoleone ovviamente. Finalmente può scendere.
Certo che le facce della sofferenza sono proprio tante in questo mondo.