mercoledì 29 giugno 2016

un lento abbandono


Alla fine l'ho fatto. 
L'ho lasciata.  Abbandonata.
Erano mesi che ci giravo intorno ma non sapevo come fare. Pensavo ancora che forse avremmo potuto recuperare, superare la crisi e scoprirci più innamorate che mai.
Ogni giorno però il distacco cresceva. 
Ad un certo punto l'ho anche liberata, niente più lucchetto, che poi era anche assurdo: un ridicolo lucchetto viola che non poteva certo dissuadere un onesto ladro di biciclette. 
Ma lei no, lei non se ne voleva andare.
Ogni mattina me la ritrovavo pronta sulla rastrelliera: rimasta lì, anche senza essere chiusa, mentre altre pur dotate di Kryptonite, avevano già preso il volo.
Le dicevo: " vai, fatti una vita tua, lasciati andare, fatti prendere..." ma lei no, lei resisteva. Mi aspettava.
Pensava, con quel suo cervello cigolante e arrugginito, che forse, se si fosse dimostrata capace di aspettarmi, prima o poi sarei rinsavita, superando quella stupida infatuazione per i miei piedi e tornando  in sella. 
Invece hanno vinto loro, i miei piedi, dimostrandole che non si trattava di semplice infatuazione ma di Vero Amore.
Con loro vado dappertutto, che piova o ci sia il sole, anche con la gonna stretta. Qualche volta saliamo su di un tram di corsa e per un tratto restiamo semplicemente a guardare.
Loro mi seguono - o mi precedono?- in silenzio su e giù per marciapiedi, mostrando a volte segni di contenuta intolleranza quando si trovano a condividere il loro spazio appena conquistato con centinaia di ruote...
Saranno stanchi penso mentre mi portano su per le scale alla fine della giornata. 
Sì, stanchi ma felici, se la godono sotto la doccia, liberi e senza lucchetto.

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